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  • Monica Paggi

Primi passi verso una nuova pedagogia


Chiunque si trovi nei panni di educatore, sia come genitore, insegnante, nonno o in qualunque altro ambito si sia in contatto con i bambini, può avvertire l’urgenza di trovare un modo nuovo per relazionarsi con loro. Molti bimbi infatti agli occhi degli adulti risultano ingestibili, incontentabili ed affetti da disturbi e problematiche che solo poche decine di anni fa nemmeno esistevano. Come educatori ci sentiamo spiazzati e non sappiamo come comportarci. Cos’è successo ai più piccoli? Evidentemente stanno manifestando un disagio e le cause sono molteplici.


In primo luogo c’è il bombardamento di stimoli a cui sono sottoposti costantemente: suoni provenienti da radio e TV; musiche di sottofondo nei bar, nei ristoranti, in macchina; immagini virtuali alla televisione, sul computer, sul tablet, sullo smartphone. In secondo luogo sono costretti a vivere ad un ritmo troppo accelerato: ormai solo in pochi hanno la fortuna di avere i genitori sotto un unico tetto, devono quindi fin da piccoli traslocare continuamente da una casa all’altra; frequentano fin dai primi anni i più svariati corsi di nuoto, calcio, danza, yoga... vengono caricati in macchina e spostati di continuo da un posto all’altro, insomma non hanno pace.


Ci siamo abituati a trattarli come adulti in miniatura, sottoponendoli fin dai primi mesi ai nostri ritmi stressanti; a vestirli come adulti, a parlare loro come adulti. Ma sono bambini, diversi da noi non soltanto nelle dimensioni! Hanno esigenze particolari di cui ormai quasi nessuno tiene più conto. Vantandoci di quanto oggi i bambini siano più svegli ed intelligenti di un tempo, non ci rendiamo conto del prezzo che questa accelerazione nello sviluppo cognitivo ha su di loro: gli sta togliendo l’infanzia, il periodo più delicato e importante nella vita di ogni essere umano.

Pensando di fare il loro bene offrendogli precocemente ogni tipo di tecnologia, stiamo in realtà compiendo dei danni irreparabili che si ripercuoteranno sulla loro vita futura e di conseguenza, anche sulla futura società.


La domanda è se ci stiamo rendendo conto di tutto questo. Di vivere in un sistema qui in occidente, dove l’obiettivo è l’omologazione delle persone: vivere tutti la stessa vita fatta di istruzione/lavoro/famiglia /consumismo, portando in giro nella propria testa pensieri già pensati dai mass-media e da noi passivamente assimilati.


Il primo passo da fare, se vogliamo apportare dei cambiamenti per il nostro bene e quello dei bambini che saranno gli adulti del futuro, è prendere coscienza della situazione in cui viviamo. Se i bambini ci stanno trasmettendo un disagio esistenziale, è perché non riescono ad elaborare tutti gli stimoli a cui li sottoponiamo, non hanno il tempo per digerirli tutti e di conseguenza, come minimo diventano agitati.

I bambini sono estremamente sensibili, sono come spugne che assorbono tutto ciò che li circonda: l’ambiente, le parole, gli atteggiamenti, i gesti, i colori, i suoni, gli odori. Come educatori, dovremmo essere noi a selezionare per loro finché sono piccoli, gli stimoli adeguati al loro sviluppo, e proteggerli da quelli potenzialmente dannosi. Ignorando cosa sia bene e cosa no per il bambino invece, compiamo errori educativi clamorosi.


Questo dovrebbe essere il secondo passo: preoccuparsi di conoscere il bambino e le sue reali esigenze.

Di questo si occupa la pedagogia steineriana: fornire una conoscenza completa dell’essere umano. Come possiamo pensare di compiere un sano e sensato intervento educativo, se non conosciamo il soggetto stesso di quell’intervento? Certo, prima dobbiamo chiarirci a quale ideale di essere umano stiamo aspirando.


Fin dai tempi più antichi, l’educazione ha preso le mosse da quello che dal bambino si voleva ottenere. Nell’antica Grecia essendo l’ideale di uomo il ginnasta, l’educazione era orientata allo sviluppo armonico di corpo e spirito. A Roma l’ideale era invece quello del retore, una persona che sa persuadere le altre delle proprie idee, attraverso l’arte oratoria; l’educazione allora, era tutta improntata sulle discipline che potevano sviluppare quella specifica attitudine. E così via nel Medioevo, con l’ideale del dottore, di colui che sa tante cose. Con l’avvento dell’industrializzazione poi, l’ideale è diventato quello dello specialista, ed ecco che l’intervento educativo è stato finalizzato a produrre specialisti che possano prender parte al complicato meccanismo economico.


E oggi? Quale ideale di uomo vogliamo raggiungere? Questo stesso obiettivo dirigerà il nostro intervento educativo, è quindi fondamentale capire in che direzione si voglia andare. Molto dipende dal fatto che si decida o meno, di prendersi la responsabilità di gestire la propria vita. Se ci sentiamo comodi in un sistema, come quello attuale, che ci trasporta e ci conduce come un gregge verso i suoi obiettivi, allora possiamo tranquillamente lasciare le cose così come stanno. Se invece vorremmo apportare cambiamenti, prendere in mano la situazione e fare qualcosa per migliorarla, allora forse la meta della pedagogia steineriana potrebbe essere anche la nostra: la libertà.


Educare alla libertà è infatti il fine ultimo secondo Steiner. Bisogna prendere questa affermazione con le pinze e cercare di comprenderla a fondo, prima di tacciarla di anarchia. Educare alla libertà non significa come molti contestano inizialmente, lasciar fare ai bambini tutto ciò che vogliono senza regole. Significa invece predisporre come educatori, un piano educativo finalizzato allo sviluppo di un pensare autonomo, libero da condizionamenti esterni, capace di esprimere la propria individualità e le attitudini individuali senza paura. Educare alla libertà significa crescere una generazione che sia in grado di prendere in mano la propria vita e farne un capolavoro.


Per poterlo fare è necessario compiere un terzo, importantissimo passo: cominciare a mettere in pratica il suggerimento di Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Solo così potremo finalmente offrire ai bambini di oggi, dei validi esempi da imitare: adulti che stanno cercando attivamente di migliorare quella che sarà la loro società del futuro.

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