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  • Monica Paggi

Il primo settennio

Qual’è il primo evento da prendere in considerazione per tentare di comprendere lo sviluppo di un essere umano? La nascita, la gestazione? In realtà il primo atto pedagogico nei confronti di un bambino lo si compie ancor prima del concepimento: è la volontà o meno di metterlo al mondo. Se l’incontro interiore di mamma e papà precede quello fisico, allora il bambino potrà sentirsi veramente voluto. È la prima cosa di cui ha bisogno questo nuovo essere venuto da lontano: sentirsi desiderato.

Pensiamo a come ci sentiremmo noi se dovessimo partire per una terra straniera in cui non conosciamo nessuno e di cui ancora non sappiamo parlare la lingua. Farebbe sicuramente la differenza se in questo nuovo luogo ci sentissimo accolti con benevolenza oppure percepissimo indifferenza o ancor peggio fastidio per la nostra presenza. Nel primo caso ci sentiremmo a nostro agio e potremmo dedicarci con fiducia alla scoperta del luogo, della sua cultura e della sua lingua, stabilendo rapporti sociali positivi; nella seconda e terza ipotesi invece, svilupperemmo probabilmente un atteggiamento di difesa, forse paura o a seconda del nostro carattere risentimento per questo luogo e queste persone così inospitali e tutto sarebbe molto più complicato. Così inizia la sua vita su questo pianeta il bambino, a seconda della situazione in cui viene a trovarsi.


Il secondo aspetto pedagogico da considerare è la volontà di conoscere il bambino. Steiner stesso pone alla base della sua pedagogia la conoscenza dell’essere umano; non sarebbe infatti possibile proporre un intervento educativo mirato e consapevole senza conoscere veramente l’oggetto a cui è rivolto. Ma cosa significa conoscere il bambino? Imparare ad amarlo giorno per giorno, a partire da quando è ancora nel ventre materno.

Spesso tendiamo a confondere l’amore con il sentimentalismo e diciamo di amare persone per cui proviamo un forte sentimento. Il vero amore però è fondato sulla conoscenza e richiede tempo per essere consolidato. Il rischio altrimenti è quello di innamorarci del nostro stesso amore, dell’idea che ci siamo fatti di quella persona e non veramente per quella che è. Anche con il bambino si corre questo rischio, finendo col desiderare intimamente che fosse diverso da quello che è. Lui lo avverte e non si sente veramente amato. Forse è per questo motivo che oggi le relazioni faticano a durare: non ci si dà il tempo di conoscersi e poi si resta delusi se l’altra persona risulta essere diversa da come l’avevamo idealizzata. Dedicare del tempo a partire dalla gestazione per percepirlo, parlargli ed instaurare un legame è il miglior presupposto per una relazione serena fin dai primi anni. Dopo la nascita, prendersi il tempo per ascoltarlo e conoscerlo può facilitare l’instaurarsi del giusto ritmo sonno-veglia e dei pasti, che anziché venire imposti dall’esterno a seconda della tendenza del momento, saranno scaturiti dal bambino stesso. Ma il tempo è ormai diventato un bene prezioso e il fatto di dover lavorare fino agli ultimi mesi di gravidanza e voler riprendere il prima possibile la vita come era prima, non consente una vera conoscenza del bambino.


Un altro fatto che segna profondamente il bambino è il modo in cui avviene il parto. Come abbiamo visto nell’articolo I 12 sensi-I parte, il momento della nascita rappresenta per il bambino la prima importantissima e fondamentale esperienza di tatto. Il passaggio fra le ossa del bacino materne, comprime il suo corpo che per la prima volta ha la possibilità di percepirsi. Nel ventre materno infatti si trovava in assenza di gravità e fluttuava beato. Se però il parto avviene tramite taglio cesareo, questa esperienza viene a mancare ed anzi, si crea un trauma sia per la mamma, che di colpo si sente svuotata e privata del bambino senza che abbia potuto partecipare alla sua nascita, che per il bambino stesso che da un momento all’altro viene preso e portato in una situazione completamente diversa senza aver vissuto il passaggio graduale da una condizione all’altra. Proprio per questo motivo i bambini nati con parto cesareo necessitano di cure maggiori, hanno bisogno di recuperare quell’esperienza perduta di percezione del proprio corpo, attraverso una cura particolare del senso del tatto. Hanno bisogno di ancor più contatto fisico e di sentire il loro corpo ben avvolto dai vestiti; vanno massaggiati con cura ogni giorno. Il rischio altrimenti è che con un senso del tatto non ben sviluppato, possano arrivare a percepire gli altri in modo disarmonioso, a non avere letteralmente tatto nei loro confronti. É possibile osservare come molti bambini nati con parto cesareo tendano più di altri a dare spintoni all’asilo per esempio, proprio perché non avendo una chiara percezione del loro corpo non sanno distinguere dove finiscono loro e dove comincia l’altro e l’unico modo che hanno per interagire è attraverso un contatto più forte.

È ormai risaputo che durante la gravidanza il bambino “assorbe” la mamma sia fisicamente che psicologicamente, per questo andrebbe prestata particolare attenzione allo stile di vita della mamma durante la gestazione. Un eccessivo lavoro mentale sottrae forze vitali che andrebbero invece dedicate alla crescita del bambino e stress ripetuti si ripercuotono direttamente sullo sviluppo stesso del feto.

Va sempre tenuto presente che il bambino nasce come essere aritmico, nel senso che i suoi stessi organi plasmano il loro ritmo in base all’ambiente in cui si trova; un bambino che vive in presenza di persone perennemente agitate e stressate, conformerà il suo respiro ed il suo battito cardiaco ad imitazione di quelle persone. Anche per lo stabilirsi del ritmo sonno-veglia siamo noi adulti ad essere determinanti, avendo il compito di predisporre per lui l’ambiente in modo diverso a seconda che sia il momento di dormire o di restare svegli.

Il bambino può solo percepire e comportarsi di conseguenza, per cui se sarà chiara fin da subito la distinzione fra ambiente in cui si dorme: poca luce e rumori assenti e quello in cui si è svegli: luce e suoni, non ci saranno problemi. Se invece si comincia a pretendere che il bambino dorma nelle più disparate situazioni, magari al ristorante con la musica a tutto volume è possibile che subentrino delle difficoltà nell’instaurarsi di un sano ritmo sonno-veglia.


Dal punto di vista fisico ciò che contraddistingue la figura del lattante è la grossezza della testa. Mentre nell’adulto la proporzione fra la testa e l’altezza complessiva del corpo è di 1/7 -1/8, nel lattante il rapporto è di ¼.

Il lattante è effettivamente un vero e proprio organo di senso (non a caso proprio la testa che lui ha così grande è sede di molti sensi) e tutto l’ambiente intorno a lui diventa campo di esperienza per il suo organismo sensorio. Assorbe letteralmente tutto: suoni, luci, parole, stati d’animo. Tutte le impressioni che riceve dall’esterno contribuiscono a plasmare attivamente sia il suo corpo che la sua anima. È per questo motivo che tutto ciò che entra a far parte dell’ambiente del lattante andrebbe scelto con cura e consapevolezza: dal vestiario ai giocattoli, dai colori della cameretta alle luci e ai suoni in essa prodotti.


La scelta dell’abbigliamento merita particolare attenzione in quanto oggigiorno la moda sta prendendo il sopravvento sul buonsenso. C’è la tendenza a vestire i bambini fin da piccolissimi come dei mini-adulti, dimenticandosi di quali siano le loro reali esigenze. Innanzitutto calore, il lattante non ha un corpo del calore ancora ben definito e spetta a noi coprirlo adeguatamente. In particolare la testa, che tende a disperdere molto calore, andrebbe sempre coperta. Sarebbero da preferire i tessuti naturali a quelli sintetici: il bambino fino a poco tempo prima aveva un corpo umano come vestito! Lana, seta, cotone hanno in sè una componente ancora vivente, mentre i tessuti sintetici sono per definizione morti. Non dimentichiamo quanto sia sensibile il bambino e quanto importanti le esperienze tattili sulla sua pelle.

Stando spesso a terra, la calzamaglia andrebbe indossata sempre ed in generale nei primi anni l’abbigliamento ideale è la salopette, che non stringe il panciotto ancora paffuto e permette al bambino di avere sempre gli organi al caldo, senza dimenticare che gli dà quella libertà di movimento indispensabile per acquisire dimestichezza con il proprio corpo. Pantaloni e gonne non sono adatti nei primi anni, in quanto il punto vita del bambino non si è ancora formato e tendono a cadere e scivolare via. Anche la scelta dei colori del vestiario è importante. L’occhio del bambino è ancora in formazione, è immaturo e non andrebbe stimolato con colori troppo sgargianti. Il nero poi, che è assenza di colore, è ombra e andrebbe evitato per un bambino. L’ideale sono le tinte tenui, naturali, che educano l’occhio a distinguere le varie sfumature di colore.

Si ricordi a questo proposito la valenza del senso della vista in I 12 sensi-II parte.


Il bambino impara tutto per imitazione e quando è steso nella culla e vede intorno a sé persone in stazione eretta, conforma le sue stesse ossa per poter camminare come loro. Già molti anni fa sono stati condotti esperimenti su bambini che per un infelice destino si erano trovati ad essere allevati non da umani ma da animali: ebbene questi bambini imparavano a muoversi per imitazione come gli animali che avevano intorno a loro e non arrivavano a camminare. Si legga in proposito questo articolo pubblicato su Focus l’anno scorso: Le vere storie dei ragazzi selvaggi.

All’inizio giace inerme nella culla, non sa nemmeno girarsi e sono gli adulti a doverlo posizionare. Poi pian piano inizia a seguire i movimenti con lo sguardo e a manifestare di riconoscere le persone sorridendo. La testa prende sempre più forza e riesce a girarla, sollevandola e muovendola forma la curvatura della lordosi cervicale. Anche le braccia che prima si muovevano per conto loro vengono gradualmente afferrate dalla coscienza del bambino. Verso i 6 mesi può stare seduto. A terra lentamente ruota su se stesso e puntando le braccia comincia ad andare a carponi per esplorare lo spazio che lo circonda: sta prendendo coscienza della tridimensionalità del mondo. Inizia poi lo sforzo per alzarsi e dove trova un appiglio tenta di tirarsi su. È evidente che sia uno sforzo per lui, nel ventre materno la forza di gravità non era presente. Cominciando a raddrizzarsi nella colonna si forma anche la lordosi lombare e le anche si raddrizzano. Cammina tenendosi dove può finché un bel giorno lo si trova in piedi. È un momento importantissimo che non andrebbe in alcun modo forzato a scapito di un sano sviluppo della forza di volontà del bambino. L’imparare a camminare non è infatti qualcosa di congenito e programmato nell’essere umano ma una libera acquisizione del bambino guidata dalla sua forza di volontà. Il processo di acquisizione della stazione eretta è quindi una grande conquista per il bambino e comporta grandi cambiamenti nei suoi primi mesi di vita.

Se si osserva il processo appena descritto, l’immagine che ne deriva è di un percorso di progressiva padronanza del corpo che parte dagli occhi e passando per testa, braccia e tronco raggiunge le gambe e infine i piedi. È la stessa progressione vissuta per nascere ( in un parto naturale): dalla testa ai piedi.

La tendenza a voler accelerare questa conquista con l’ausilio del girello, impedisce lo sviluppo autonomo del senso motorio del bambino, che come abbiamo visto parlando dei 12 sensi, è alla base di un sano senso del linguaggio.

Normalmente infatti sono le stesse forze sviluppate per camminare che porteranno il bambino a parlare nel secondo anno di vita. Il fatto che oggi molti bambini arrivino prima a parlare che a camminare è il segno di un’eccessiva stimolazione intellettuale a scapito di quella motoria.


La seconda grande conquista del bambino avviene intorno al secondo anno, quando inizia a parlare.

Il lattante emetteva soltanto dei suoni gridati per esprimere sentimenti di simpatia ed antipatia, poi a partire dal terzo mese ha inizio il balbettio, un esercizio istintivo del linguaggio proprio come lo sgambettio rappresenta un esercitarsi nel movimento. È interessante sapere che tutti i lattanti del mondo balbettano allo stesso modo, sono potenzialmente pronti ad imparare qualunque lingua. Dal secondo anno compaiono le prime forme linguistiche che si manifestano in fasi differenti: all’inizio una sola parola indica più esperienze, è la fase del dire. La sillaba “la” può significare sia “latte”, che “voglio il latte”, “buono il latte” o “non voglio latte”. Quando scopre che ogni cosa ha un nome ha inizio la fase del nominare; aggiungendo aggettivi e verbi alle parole arriva al parlare vero e proprio. La sequenza nell’imparare a parlare è quindi sostantivo, aggettivo, verbo. Se ripensiamo alla tripartizione dell’uomo in pensare, sentire e volere possiamo collegare queste tre fasi sia alla tripartizione fisica che animica:


TESTA TRONCO ARTI Sostantivo Aggettivo Verbo Pensare Sentire Volere


In che modo possiamo aiutare il bambino nel corso di questa sua seconda importante conquista? Partendo dal principio dell’imitazione, evitiamo di ripetere i suoi versi per divertirci e parliamo poco e bene in sua presenza, in modo da essere chiari modelli da imitare.

Anche la parola che il bambino sente ha il potere di plasmarlo sia nel corpo che nell’anima, oltre che indirizzarlo verso determinate attitudini sociali. Un linguaggio duro provocherà contrazione fisica e stato d’animo timoroso, il risultato sarà una scarsa capacità di interazione sociale. Un linguaggio bello, calmo e ricco di sfumature trasmetterà al bambino rilassamento e piacere nel comunicare.


La terza grande conquista per il bambino nei suoi primi tre anni di vita è lo sviluppo del pensare, che come per il camminare ed il parlare, prende avvio dall’imitazione di chi lo circonda. Sono quindi nostri stessi pensieri ad educare il bambino a pensare; per questo motivo dovremmo cercare di essere il più possibile coerenti con lui, in modo che la sequenza logica dei nostri pensieri sia per lui sempre chiara e comprensibile. Se un adulto dice una cosa ed un altro l’opposto, nascerà confusione nel bambino e i suoi pensieri non potranno essere chiari.


Quando si ha di fronte un bambino piccolo va tenuto conto che la sua sfera animica è un tutt’uno con i pensieri e la volontà. Quando un bambino vede un giocattolo per esempio, la sensazione di piacere (sentire) che prova nel percepirlo con la vista (percezione/pensiero) lo porta automaticamente ad afferrarlo (volere). Non è in grado di scindere queste tre sfere e pensare che forse appartiene ad un altro bambino e quindi di conseguenza frenare il suo impulso all’azione. Inoltre il bambino vive su di sé ciò che vede all’esterno, se gli oggetti sono a terra o rovesciati, percepisce quello stato come stanchezza o abbandono; se tutto intorno a lui è pulito e ordinato si sente così anche lui interiormente. Lo stato d’animo del bambino influisce naturalmente sul ritmo del suo respiro e del battito cardiaco, ecco che ciò che circonda il bambino ha il potere di agire fin nei suoi organi interni.


Dal punto di vista dello sviluppo fisico, fra 1 e 4 anni è il tronco a prevalere come dimensioni e velocità di sviluppo, è il momento del primo ingrossamento; in seguito fra i 4 ed i 7 anni, saranno gli arti a crescere maggiormente, con la prima fase di allungamento. Mano a mano che il bambino cresce e si avvicina alla maturità scolare, i muscoli si delineano, compaiono vita, polsi e caviglie che fino a quel momento erano ancora ricoperti da uno strato di grasso infantile; anche il collo acquista evidenza.


La parola chiave per questo primo settennio è quindi IMITAZIONE: tutto ciò che il bambino impara in questi primi 7 anni di vita lo fa grazie a questo principio. Tutto viene appreso senza alcun tipo di riflessione da parte sua, ma solo partendo dall’imitazione e dall’esercizio quotidiano di ciò che ha percepito.

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